Roberta Bruzzone, il processo a Rosa e Olindo deve essere riaperto: “Le prove che abbiamo presentato in aula sono sufficienti a persuadere il giudice

Il lavoro di Roberta Bruzzone è tanto inquietante quanto affascinante, paragonabile a un giallo vissuto quotidianamente. Essere la criminologa più nota e amata d’Italia la rende una figura irresistibile per gli appassionati di cronaca nera. Bruzzone tornerà presto in aula come consulente di parte per la difesa dei coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati in via definitiva per la strage di Erba.

Da qualche mese, la vicenda della strage di Erba, avvenuta l’11 dicembre 2006, è tornata alla ribalta della cronaca nazionale grazie alla possibile revisione del processo. Questo sviluppo è il frutto del lavoro incessante della difesa e delle istanze presentate dal sostituto procuratore di Milano, Cuno Tarfusser.

La presenza di Bruzzone in questo contesto aggiunge un ulteriore livello di interesse e complessità al caso, promettendo nuovi sviluppi in una delle storie criminali più seguite in Italia.

Nuovi Elementi Potrebbero Portare alla Revisione delle Condanne per la Strage di Erba

Nonostante la sentenza definitiva della Cassazione nel 2011, nuovi elementi potrebbero riaprire il caso della strage di Erba, uno degli episodi più crudeli nella storia della cronaca nera italiana. Ricordate quella tragica notte dell’11 dicembre 2006? Le enciclopedie descrivono così l’orrore:

“La strage fu compiuta dai coniugi Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi, che uccisero a colpi di coltello e spranga Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e infine la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, colpito con un fendente alla gola e creduto morto dagli assalitori, riuscì a salvarsi grazie a una malformazione congenita alla carotide che gli evitò la morte per dissanguamento. La strage avvenne nell’abitazione di Raffaella Castagna, in una corte ristrutturata nel centro di Erba. L’appartamento fu dato alle fiamme subito dopo l’esecuzione del delitto.”

Un orrore senza fine. Tuttavia, oggi emerge il sospetto che dietro la strage possa esserci la vendetta di una banda rivale di spacciatori. Il padre di Youssef, Azouz Marzouk, che ha avuto problemi con la giustizia legati alla droga, esclude questa pista, ma la difesa dei coniugi Romano continua a esplorare tutte le possibili strade.

Durante l’udienza del 16 aprile scorso, l’avvocato Patrizia Morello ha citato più volte la criminologa Roberta Bruzzone, consulente della difesa per i coniugi Romano dal 2009. Secondo Bruzzone, la vicina di casa Valeria Cherubini fu colpita e uccisa nel suo appartamento, contrariamente a quanto sostenuto nelle sentenze, che indicano il piano inferiore come luogo del delitto.

Abbiamo raggiunto Roberta Bruzzone per chiederle se davvero è cambiato il comune pensiero di colpevolezza dei Romano, i quali furono condannati anche per aver ammesso l’omicidio davanti alle telecamere. Bruzzone ha ribadito che, secondo le sue analisi, i fatti non possono essere andati come descritto nella confessione, rendendo quella deposizione non veritiera. Nonostante vi sia ancora chi è fermamente convinto della colpevolezza dei Romano, qualcosa è cambiato.

Intervista a Roberta Bruzzone sulla Strage di Erba e la Possibile Revisione del Processo

Dottoressa Bruzzone, è cambiato, dal 2006 a oggi, il pensiero dell’opinione pubblica sulla presunta innocenza dei coniugi Romano?

«Fu molto difficile all’inizio convincere qualcuno della loro innocenza, tutti erano straconvinti che Rosa e Olindo fossero colpevoli. Poi negli anni, grazie anche al grande lavoro svolto da alcune trasmissioni, tra cui Le Iene, e da noi della difesa, la narrazione della vicenda è cambiata in maniera notevole. È emerso in modo insuperabile che le indagini sul caso sono state eseguite con criticità importanti che non avrebbero dovuto verificarsi. Questo è già un dato che sembra ormai essere consolidato.»

Il 10 luglio lei sarà chiamata a deporre in aula.

«E sono ottimista. Gli elementi che abbiamo portato davanti alla Corte d’Appello di Brescia sono molto concreti. Mi auguro che la Corte voglia approfondirli convocando noi consulenti in aula e che riapra formalmente l’istruttoria del processo. Già il fatto di essere arrivati a questa udienza interlocutoria, che supera il primo vaglio dell’ammissibilità, è un risultato straordinario. Riteniamo che il lavoro fatto meriti il vaglio dell’aula in maniera piena.»

Secondo lei il risvolto mediatico di questa vicenda ha influito sulla possibile revisione del processo?

«Non credo che la narrazione mediatica influenzi il pensiero dei giudici, ma indubbiamente l’opinione pubblica è cambiata rispetto a qualche anno fa, soprattutto prima del 2015. Ripeto, non credo che questo possa influenzare ciò che accadrà il 10 luglio, ma ritengo che quello che abbiamo portato in aula sia sufficiente per convincere il giudice ad approfondire in un dibattimento.»

Abbiamo visto durante le scorse udienze la fila delle persone per entrare in aula. Secondo lei, dietro a questa “fame di cronaca” dell’opinione pubblica c’è solo una curiosità superficiale o qualcosa di più profondo?

«C’è sicuramente un’emozione molto più profonda. Tutti i fatti che riguardano eventi violenti hanno un grande potere di identificazione collettiva. C’è chi si identifica con il carnefice, chi con la vittima, chi addirittura con i familiari delle vittime. Quello che accade nella mente delle persone è un processo di identificazione che ha radici profonde. Questo è il motivo per cui la cronaca nera ha sempre attratto l’attenzione della gente e continuerà a farlo. Sono storie di persone comuni che ci assomigliano, in un modo o nell’altro. Sono vicende che coinvolgono persone che potrebbero far parte della nostra vita o potremmo addirittura essere noi. Questo elemento coinvolge profondamente la gente, a prescindere dai contenuti o dalle competenze per affrontare questi temi.»

Alle persone desta più curiosità la vicenda in sé o l’eco mediatica che il caso ha avuto?

«Indubbiamente anche la parte mediatica ha il suo ruolo e desta grande interesse. Come dicevo prima, per il pubblico essere in aula durante udienze particolarmente significative fa sì che persone che magari non hanno occasione di essere protagoniste si sentano tali, un po’ sulla scorta del principio: “Sai, io quel giorno c’ero, io ero lì!”. È quindi un modo anche per arricchire la propria vita di un momento particolare, destinato comunque a rimanere nella storia.»