Non è facile spiegare l’aumento di peso della popolazione mondiale, conseguenza di diete squilibrate, scarsa attività fisica e altri fattori legati allo stile di vita.
L’attenzione della ricerca scientifica si è rivolta a sostanze chimiche molto diffuse nella nostra vita quotidiana, con le quali non solo entriamo in contatto ma che ingeriamo anche involontariamente. Alcuni ricercatori ritengono che queste sostanze possano avere la capacità di indurre sovrappeso e obesità.
I ricercatori le hanno definito queste sostanze “obesogene”. Ma cosa sono? E come possiamo riconoscere queste sostanze nell’ambiente che ci circonda?
Un nuovo studio apparso su Biomolecules suggerisce che il rapido e significativo aumento dell’obesità nel mondo negli ultimi quattro decenni non è attribuibile esclusivamente a fattori di rischio genetici o legati allo stile di vita, come diete ricche di calorie dal punto di vista nutrizionale, stile di vita sedentario o invecchiamento.
Nuove prove hanno dimostrato che l’esposizione a sostanze chimiche prodotte dall’uomo può alterare l’equilibrio ormonale dell’organismo e potrebbe essere in parte responsabile dell’epidemia di obesità.
Gli effetti di questi interferenti endocrini possono non solo colpire la persona a contatto con queste sostanze, ma essere trasmessi alle generazioni future.
Cosa sono le sostanze obesogene e perché fanno male
La teoria non è recente. Lo afferma Massimo Scacchi, responsabile dell’UO di Medicina Generale a Indirizzo Endocrino-Metabolico e Direttore del Laboratorio di Ricerca Metabolica di Auxologico Piancavallo (Dipartimento Scienze Cliniche, Università degli Studi di Milano)-
“Grun e Blumberg hanno ipotizzato che l’esposizione a sostanze obesogene durante il periodo prenatale o nei primi anni di vita possa provocare l’accumulo di tessuto adiposo, l’aumento di peso e altri problemi di salute in seguito, spiega Scacchi”.
Le ricerche condotte su modelli animali hanno dimostrato che gli inquinanti ambientali (interferenti endocrini/obesogeni) possono promuovere la differenziazione delle cellule staminali in adipociti e aumentare il deposito di lipidi all’interno di ciascuna cellula grassa.
Agiscono inoltre sul sistema endocrino e possono alterare i processi che regolano lo sviluppo del tessuto adiposo, la fame e la sazietà.
Studi sull’uomo hanno trovato un’associazione tra livelli elevati di DDT durante la gravidanza e lo sviluppo dell’obesità nella prole, anche se altri studi non hanno evidenziato tali legami, conclude Scacchi”.
Gli ftalati, presenti nella plastica e in altri prodotti, sono interferenti endocrini con effetti debolmente estrogenici e anti-androgeni.
È stata riscontrata una correlazione tra l’aumento dei livelli di ftalati nelle urine e i marcatori associati alle malattie cardiometaboliche e all’obesità.
Alcuni studi hanno dimostrato una correlazione tra l’esposizione prenatale agli ftalati e il BMI pediatrico, ma altri no. Va notato che ci sono anche altri composti alimentari da considerare.
Per quanto riguarda il glutammato monosodico, che si trova in grandi quantità negli alimenti trasformati come la pizza surgelata, le patatine fritte e i mix di snack, alcuni studi hanno dimostrato che le persone che consumano regolarmente livelli elevati di questo additivo hanno maggiori probabilità di essere in sovrappeso. – spiega Scacchi. Uno studio tailandese ha stimato che per ogni grammo di MSG consumato, il rischio di sovrappeso aumentava di 1,16 volte.
Si ipotizza che questa sostanza possa ridurre la secrezione di GLP-1, un’incretina coinvolta non solo nel rilascio di insulina ma anche nell’induzione della sazietà. Un’altra sostanza in grado di ridurre la secrezione di GLP-1 e di indurre un aumento di peso è la clozapina, un farmaco psicoattivo utilizzato per il trattamento della schizofrenia”.
Infine, dobbiamo considerare l’inquinamento: studi sull’uomo hanno dimostrato che un gas dell’inquinamento atmosferico, il biossido di azoto, può contribuire ai livelli di lipidi circolanti nei soggetti obesi.
L’esposizione alle particelle trasportate dall’aria nelle prime fasi della vita può portare a un aumento del grasso viscerale, della resistenza all’insulina e dell’infiammazione nell’animale.
Sono necessari ulteriori studi per valutare l’impatto degli obesogeni (sostanze chimiche che contribuiscono all’obesità) sull’aumento di peso umano, con particolare attenzione all’identificazione di questi composti e alla determinazione dei livelli di esposizione delle persone.
Cos’è il Bisfenolo e perché viene considerato obesogeno
La risposta viene da Simona Bertoli, Professore ordinario di scienze dietetiche applicate presso il Dipartimento di scienze degli alimenti la nutrizione e l’ambiente, Università degli Studi di Milano e Direttore Centro Ambulatoriale Obesità di Auxologico. Secondo l’esperta, il bisfenolo A (BPA) è un contaminante presente nell’ambiente che provoca un’alterazione del sistema endocrino e può quindi portare all’obesità e al diabete.
“Interagisce con i recettori degli estrogeni, un ormone umano che svolge un ruolo importante nella funzione sessuale ed è responsabile dell’influenza sul funzionamento di vari organi e tessuti”, spiega l’esperta.
L’esposizione al BPA in concentrazioni inadeguate e durante la finestra temporale sbagliata può influire su più sistemi di organi, compresi quelli coinvolti nell’equilibrio energetico e nel controllo della glicemia.
Il BPA è presente nella nostra “dieta” quotidiana da oltre 50 anni. Negli anni Cinquanta, i chimici hanno scoperto che poteva essere polimerizzato per produrre plastica policarbonata, un composto di base utilizzato nella produzione di molte lattine per alimenti e bevande e utilizzata nei contenitori degli alimenti.
Ad oggi, le principali fonti alimentari di BPA sono i cibi e le bevande in scatola che rilasciano BPA negli alimenti durante la conservazione.
Nell’aprile 2023, l’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha pubblicato una valutazione della sicurezza del BPA che ha abbassato in modo significativo la soglia di assunzione giornaliera tollerabile.
Le ricerche hanno dimostrato che il BPA è presente in oltre il 90% della popolazione generale e, poiché può essere immagazzinato nel tessuto adiposo (grasso), vi rimane.
I livelli di esposizione variano notevolmente a seconda delle aree geografiche e della qualità della dieta, ma l’esposizione media supera la nuova TDI in tutti i gruppi di età. Questi dati destano quindi preoccupazione per la salute.
Il decalogo dell’Istituto Superiore di Sanità
L’Istituto Superiore di Sanità pubblica un decalogo per limitare l’esposizione a queste sostanze, con benefici per la propria salute e quella dell’ambiente:
- limitare l’uso di plastica monouso (posate, bicchieri, piatti, contenitori)
- ridurre, ove possibile, l’uso di prodotti in plastica PVC (cloruro di polivinile), considerando eventuali alternative
- ridurre il tempo trascorso a giocare con giochi in plastica, inclusi i giochi elettronici
- limitare il consumo di cibi pronti (takeaway) se preparati e distribuiti in contenitori di plastica
- evitare di utilizzare il microonde con alimenti già conservati in contenitori di plastica e con contenitori non appropriati
- una volta scaldati consumare gli alimenti in contenitori diversi dalla plastica
- limitare il consumo di acqua confezionata in bottiglie di plastica
- limitare l’uso di pellicola per alimenti e comunque utilizzare quella idonea al contatto
- promuovere attività sportiva per i bambini
- promuovere l’attività fisica negli adulti, sia in palestra che all’aperto prediligendo aree verdi